Storie di Ninfe

Tre ragazze, sorelle venerabili, dalla testa cosparsa di bianca farina, che svolazzano, sospese in uno spazio metafisico nutrendosi di miele. Ecco ciò che vediamo contemplando le opere di Laura: figure plastiche, di colore chiaro, con texture puntellata ma morbida, con i seni appuntiti, con occhi aperti e vigili, naso appena accennato e bocca da immaginare. Esse sono solitamente tre, spesso tra loro affiancate e creano una suspense emotiva fin dal primo sguardo.

L’ambiente classico e mitologico cui appartengono è di chiaro richiamo, possono essere denominate “Ninfe, Grazie, Veneri, Muse, Sirene”; le stesse conosciute per avere la possibilità di essere salvatrici e, al tempo stesso, devastatrici. Caratteristiche estreme e forti, sigillo di sapienza. Sono state nominate, raramente, tra gli Dèi per queste qualità, poiché figure ambivalenti che si contrapponevano alla figura della Divinità classica, perciò, la loro virtù metafisica non fu riconosciuta dal pantheon olimpico. La bellezza che le descrive non va interpretata con la contemporanea concezione di bellezza legata solo alla forma, ma appartiene all’idea classica di essa, poiché sunto estetico della perfezione interiore “la forma è la sostanza”. Osservando, infatti, la sintesi formale delle “Ninfe” o “Veneri”, si può notare una certa similitudine con la Venere di Milo, priva di braccia, e il cui modellato è reso con delicate suggestioni chiaroscurali, nel contrasto tra il liscio incarnato-nudo e il vibrare della luce nei capelli. Effettivamente, Venere, dea della bellezza e dell’amore, rappresenta, nella sua essenzialità, nella sinuosità serpentina del corpo, nei volumi rotondi dei seni e del ventre, tutti gli elementi della fertilità, della bellezza e della femminilità.

Le Ninfe, come le Grazie canoviane, sono impegnate in un dialogo silenzioso fatto di bellezza e di natura, e rappresentano la manifestazione dell’armonia della natura stessa, che si dichiara attraverso la semplicità e l’essenzialità delle forme. La presenza del numero tre, inoltre, rappresenta la raffigurazione della perfezione numerica. Queste figure costituiscono tramiti di immagini ancestrali che saggiamente ci raccontano, attraverso la loro bellezza, la saggezza che è insita nelle cose. “Le Grazie” di Laura hanno gli occhi aperti, spalancati sul mondo per vegliare costantemente su ciò che accade; a volte hanno dei curiosi copricapo appuntiti in testa,come una corona che conferisce loro potere. Chi indossa un copricapo particolare, spesso può suscitare in noi un sentimento di ammirazione o di timore; possiamo inconsapevolmente riconoscergli autorevolezza o un particolare ascendente. L’elemento del cappello è un simbolo inconscio, esso conferisce un aspetto misterioso a chi lo indossa; è un elemento che spesso ha a che fare con il cambiamento, ma, soprattutto, con la trascendenza dal mondo della materia al mondo delle idee. Il cappello può anche essere un simbolo fallico che, dunque, mette alla pari la donna con l’uomo. Le sculture femminili antropomorfe “per metà donna, per metà cavallo” sono come valchirie riboccanti di energia cosmica; s’impongono per portare novità, annunciarci l’esistenza di altre dimensioni e per condurre al loro paradiso le anime morte degli eroi. A questo punto possiamo chiederci se ci troviamo di fronte  a “Grazie” rasserenanti, elargitrici di fertilità e incarnanti l’armonia della natura, oppure a “Ninfe” devastatrici che spingono alla follia l’uomo tramite la loro bellezza.

Accumulazioni – il Vaso di Pandora

Tacchi a spillo su un piatto come un’offerta, un pericolo, atmosfera ambivalente: offerta o provocazione? La donna come dea fa parte di una tragedia. Tramite l’esasperazione delle forme e dei colori, emerge il ruolo della donna nella contemporaneità che, come un dolce veleno, si mostra e si offre; le contraddizioni e i cambiamenti che essa ha subito si manifestano e ci offrono alcuni spunti di riflessione. Nell’immaginario collettivo la donna si è sempre occupata della preparazione del cibo per marito e figli; non a caso, infatti, Laura pone le sue opere in un piatto ma non vi ripone del cibo, bensì gli oggetti legati alla femminilità, come le scarpe con tacco a spillo, le bottiglie, oppure dei neonati. Queste opere sconvolgono l’idea passata della donna, per rivalutarla nella sua femminilità profonda, pericolosa e a volte “fallica”; scandagliando e infrangendo l’idea di “donna-oggetto” esse liberano una donna pregna di significato, una donna misteriosa e in grado di salvare il mondo.

Il frammento “Scafi” di Laura, anch’esso su di un vassoio, sembra quasi un corpo che dalla sua condizione di oggetto si rompa e si apra e, come il vaso di Pandora, libra tutti i fantasmi della sua esperienza, gli aspetti positivi e negativi. I “frammenti” o rotture con spigoli spesso appuntiti destano dalla tranquillità l’osservatore e lo pongono in atteggiamento di difesa, perché rimandano sete di vendetta e necessità di rompere gli schemi, per urlare la verità. Le rotture sono, infatti, spesso segno di crisi, di cambiamento, di distruzione, di riferimento alla morte.

La scultura, intesa come rottura, è concezione originale che ci appare come non-sense della scultura stessa; anche qui, dunque, riflessione sulle cose certe e consolidate dall’uomo, un po’ come il Kitch convenzionale che condiziona la vita. Laura rompe questi stereotipi con estrema eleganza e ne fa opera scultorea, ma la rottura, nonostante tutto ciò, richiama anche la rinascita, dunque la speranza. Per questo vale la pena di vivere il “Sacrificio – rottura”, per raggiungere, infine, la rinascita.

Totem

Accumulazioni di forme in senso verticale, avvicinamento all’arte tribale, all’arte dello spirito, al legame con la terra e dunque ai riferimenti verso gli aspetti certi della vita, cioè vita-fertilità-morte. I totem di Laura sembrano avere affinità con quelli di Louise Bourgeois; l’energia sprigionata dalla fertilità della donna pone in relazione le due artiste, poiché affrontano entrambe questi temi. I totem emergono dalla superficie orizzontale della terra come figure simboliche, presenze umane atte a proteggere dalla stregoneria e/o allontanare la solitudine.

Alessia Francescato